Forum di ExNovo - Archeologi e Società

Archeologie e università, intervista a Francesca Latini

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Tommaso Magliaro
view post Posted on 19/6/2008, 08:12




Mali culturali
di Michele Tosto

Abbiamo incontrato durante la manifestazione nazionale degli archeologi a Roma, sabato 14 giugno 2008, la professoressa Francesca Latini, docente a contratto di Topografia medievale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Arezzo. A lei abbiamo rivolto alcune domane, stupendoci prima di tutto di come per una volta il mondo accademico, seppur nella figura di un singolo docente, convergesse in una iniziativa il cui scopo è il riconoscimento e la valorizzazione del lavoro dell'archeologo da campo, impiegato nei cantieri d'emergenza e di normale edilizia urbana notoriamente distanti dall'austero mondo della ricerca universitaria.

R@: 14 giugno, manifestazione nazionale degli archeologi. Come mai partecipa un docente universitario?
FL: Un docente a contratto, perché la situazione degli archeologi è assurda anche all'interno dell'università. Lavorare nei cantieri è sempre più complicato perché non c'è un riconoscimento della professione, siamo trattati al pari di un collaboratore esterno fondamentale per le soprintendenze ma non riconosciuto dal punto di vista remunerativo e professionale. L'adesione a questa giornata nasce in risposta all'esigenza di dare forza al lavoro di tutti gli archeologi: è necessario che ci uniamo per ottenere qualcosa di più, un riconoscimento. Si tratta di persone che sono laureate e che nella maggior parte dei casi hanno continuato i loro studi oltre la laurea. Questo, mentre per altre categorie viene attivamente riconosciuto e rispettato, nel nostro caso manca completamente.

R@: Università e archeologia da campo oggi seguono due linee divergenti che quasi non si incontrano: come può l'università interagire con l'altra faccia dell'archeologia: quella da campo, delle cooperative, dei contratti senza regole, dei lavori in nero? Ritiene che possa fare qualcosa? E se sì, come?
FL: L'università in primis deve fare in modo che si riconosca la professione: come gli architetti quando escono dall'università per esercitare hanno necessità di iscriversi ad un albo e sostenere un esame, come gli avvocati e i medici. Forse l'università dovrebbe imporsi da questo punto di vista. Certamente l'università è distante dal mondo dell'archeologia sul campo, in particolar modo da quella di emergenza, perché la strade e la ricerca scientifica sono sempre state separate, non a caso esiste un organo che è l'università e uno che è la soprintendenza. Se i due organi principali cominciassero a parlare forse otterremmo qualcosa di più: non si farebbe spendere tempo a tanti giovani che con grande volontà affrontano l'università e poi si ritrovano a non saper lavorare sul campo. L'università dovrebbe interagire di più con le soprintendenze ma trovo che il momento centrale sia proprio la richiesta di un riconoscimento da parte dell'università di una professione che è una professione a tutti gli effetti. Penso che il 90%, o forse più, degli scavi che vengono fatti nelle città vengono effettuati da archeologi usciti da università italiane ai quali non viene però riconosciuta la professionalità. Non esiste perciò la possibilità di riconoscersi come archeologi se non come grandi appassionati o grandi volontari. Questo non è più possibile perché abbiamo investito tutti il nostro tempo e le nostre forze. Il nostro studio è stato indirizzato per ottenere i migliori risultati anche sul campo. Ci sono tantissimi giovani capaci di lavorare ma anche il mercato è falsato: primo perché non esiste una giurisdizione rispetto a questo. Ci sono cooperative che lavorano al limite della legalità rispetto ai salari e ci sono società o altro tipo di associazioni che pretendono per i loro lavoratori il riconoscimento di una professionalità. È un lavoro qualificante e qualificato.

R@: Pensa che la soluzione potrebbe limitarsi all'istituzione di un albo?
FL: Io penso che seppur non un albo, che forse è anacronistico, il riconoscimento di alcune qualifiche professionali debba esserci. A nessuno verrebbe in mente di farsi suturare una ferita se non da un medico, non vedo perché l'archeologo non debba essere considerato alla stregua di un professionista che è in grado di riconoscere tutta una serie di eventi che il nostro territorio ci restituisce. Dovrebbe esserci un convergere di più fronti a dire che esistono delle persone che hanno delle qualifiche e che sono ritenute qualificate per stare sul territorio. In questo modo anche quando ti inviano a seguire la cosa più banale come un cantiere per alloggiamento di cavi elettrici vuol dire che è una figura rispettabile. Perché dunque l'università e le soprintendende non confluiscono su questa realtà?

R@: La situazione è sempre stata così o è peggiorata negli anni? E poi ancora, Roma rappresenta veramente un caso a sè stante in cui la situazione già drammatica del resto d'Italia precipita in un limbo complicato dove le cooperative dominano e si permettono di fare cose inaudite altrove?
FL: La situazione è sempre stata critica ma negli anni è peggiorata anche a seguito delle riforme universitarie che hanno formato una serie di persone che diversamente da quanto succedeva prima - quando un percorso universitario che durava quattro anni portava ad una laurea - oggi in età più giovane si consegue un diploma di laurea che non è la laurea specialistica ma che comunque immette sul capo molti giovani. Questo ha fatto sì, secondo me, che alcune cooperative che non si comportano in modo leale e onesto abbiano tenuto dei prezzi bassissimi. Anche per l'archeologia viviamo in un mondo concorrenziale e fatto di gare a ribasso: Roma avrebbe la fortuna di un lavoro costante e continuativo per tutti gli archeologi perché la sorveglianza archeologica è necessaria e obbligatoria ovunque, però nelle gare naturalmente vince chi offre il prezzo più basso. Anche questo ha inficiato la figura professionale: alla ditta che è costretta - tra virgolette - a tenere un archeologo per la sorveglianza, non interessa che sia un professionista, interessa risparmiare anche facendo lavorare delle volte un giovane addirittura senza laurea oppure con una laurea di primo livello, un percorso universitario non completamente strutturato all'interno di una tipologia di archeologo. Deve esistere una differenziazione nell'ambito degli studi conseguiti: c'è gente laureata con una vecchia laurea, con una triennale o addirittura dottorati. Il conseguimento di una laurea specialistica deve differenziare il lavoro: io trovo che i laureati della triennale dovrebbero fare dell'affiancamento ad una persona con più esperienza, come dire che bisogna differenziare tra chi è un archeologo professionista e chi è ancora un aspirante.
 
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Alessandro Pintucci
view post Posted on 23/6/2008, 19:38




Direi che mi trovo completamente nell'intervista...
 
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p.virgulto
view post Posted on 24/6/2008, 12:35




Concordo pienamente.
 
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2 replies since 19/6/2008, 08:12   240 views
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